mercoledì 9 ottobre 2013

Pollock e gli Irascibili



"Un quadro non riguarda un'esperienza, è un'esperienza" [M.Rothko]


Locandina mostra





Al Palazzo Reale di Milano è aperta, dal 24 Settembre al 16 Febbario, la mostra intitolata "Pollock e gli Irascibili. La scuola di New York", che ospita 49 capolavori provenienti dal Whitney Museum of American Art di New York e apre ufficialmente l'"Autunno Americano" di Milano, bel ciclo di eventi culturali dedicati alla produzione artistica d'oltreoceano e omaggio al 2013 Americano, che è stato l'anno della cultura italiana in America.
"Pollock e gli Irascibili" è già la terza collaborazione tra Palazzo Reale e il Whitney Museum, dopo l'esposizione intitolata "New York Renaissence, Masterworks from Whitney Museum of American Art", dedicato alla "rinascita" di New York dopo i fatti dell'11 settembre e dopo la bellissima retrospettiva su Hopper del 2002.
Le 49 opere in mostra attualmente a Palazzo Reale sono temporalmente comprese tra la fine degli anni '30 e la metà degli anni '60 ed appartengono a quel movimento artistico, che è più una sorta di "aria di famiglia" o sensibilità comune, che è generalmente chiamato Espressionismo Astratto o Scuola di New York.
Il dopo guerra americano fu un momento di grande importanza per l'arte mondiale. Per la prima volta nella storia, un movimento d'avanguardia non partiva dall'Europa, ma dall'America. In questo periodo il cuore pulsante dell'arte non risiede più a Parigi o a Berlino, ma a New York.
Questo spostamento di baricentro dall'Europa all'America è merito particolare di un gruppo di artisti che dalla seconda metà degli anni '30 muovono i primi passi verso un linguaggio nuovo, che pur assumendo declinazioni diverse, andrà a realizzarsi in quel gran calderone denominato generalemente espressionismo astratto.
L'espressionismo astratto subisce le influenze europee del surrealismo e dell'astrattismo mischiandole con elementi tipicamente americani, come il muralismo messicano e l'arte nativa dei pellerossa. Da questo mix di stili, influenze e richiami nascono opere dall'aria profondamente differente, accumunate, tuttavia, da un certo rifiuto per l'arte figurativa e per l'importanza data al segno gestuale.
La profonda stratificazione e differenziazione della produzione interna alla Scuola di New York è esplicata dalla stessa struttura del movimento che non è di certo identificabile come una scuola racchiusa attorno ad un manifesto programmatico, ma, come già accennato, come un gruppo di artisti accumunati dalla stessa idea di rottura con l'arte del passato e da una sensibilità volta alla sperimentazione di nuovi linguaggia espressivi e gestuali.
Ma chi erano gli interpreti di questa rottura? Quali erano i protagonisti di questa golden age dell'arte americana? La risposta si può trovare nel 20 maggio 1950 quando con una lettera di protesta, inviata al New York Times e diretta al presidente del MoMa Roland Redmond, un gruppo di artisti contestava l'organizzazione e la selezione delle opere per una "mega-mostra" sull'arte contemporanea americana, accusando i curatori di conservatorismo e ostilità nei confronti dell'arte d'avanguardia ed escludendosi volontariamente dall'iniziativa, in quanto interpreti e difensori della nuova sperimentazione artistica. La lettera fu firmata da 18 artisti tra pittori e scultori, tra cui Jackson Pollock, Barnett Newman, Mark Rothko, Robert Motherwell, Willem De Kooning, Franz Kline, Hans Hoffman, Mark Tobey, Ad Reinhardt, Richard Pousset-Dart, Adolph Gottlieb, Walker Tomlin, Edda Stern che si guadagnano presto l'appellattivo negativo, ideato dall'Herald Tribune, di "Irascibili". Questa denominazione verrà ripresa inseguito dalla rivista Life che nel gennaio del 1951 pubblicò uno scatto che farà storia. 

"Gli irascibili", foto Nina Leen, 1951


La celebre foto, commissionata da Barnett Newman, ideatore iniziale della protesta, alla fotografa di moda Nina Leen, ritrae 15 dei 18 irascibili "vestiti da banchieri" con al centro Jackson Pollock, unico senza cravatta.
Questa vicenda rafforzò ancor di più la condivisione di prospettive degli irascibili che continuarono a discutere, riflettere, sperimentare e lavorare, superando la tragica morte di Pollock, il loro rappresentante più carismatico, che muore nel '56, arrivando così alla definitiva consacrazione artistica negli anni '60, dove il loro approccio diventerà un vero e proprio paradigma per le nuove generazioni di artisti.
Prima di passare al vero e proprio contenuto della mostra di Palazzo Reale è necessario, a mio avviso, fare ancora qualche piccola precisazione concettuale per poter meglio comprendere e spiegare l'esposizione delle opere e il suo allestimento. Si può dire, volendo "tagliare la realtà con l'accetta", che l'espressionismo astratto abbia due approcci fondamentali: quello degli "Action Painters" più concentrati sull'espressività del gesto e del segno e quello dei "Color Fields Painters" più interessati invece al rapporto forma-colore. Ovviamente questi due approcci sono fortemente dialoganti all'interno del movimento e le opere sono spesso la fusione di diverse tendenze e influenze. In ogni caso, la mostra, si presenta più o meno come un percorso graduale che va dalle tendenze più "action" e incentrate sulla gestualità a quelle che privilegiano rapporti cromatico-formali tipici della corrente del Color Fields. A sostegno di questa visione si può notare che il percorso inizia con il massimo esponente dell'action painting, ovvero Jackson Pollock, star indiscussa della mostra, e si conclude con quello che forse è il più raffinato, spirituale ed influente color field painter, cioè Mark Rothko.
Come appena accennato ad accoglierci c'è Jackson Pollock il personaggio più carismatico e più noto degli irascibili. Sono presenti diverse opere, qualcuna anche dei primi periodi, quando l'artista era ancora legato a qualche forma di rappresentazione e dialogava stilisticamente con il surrealismo e l'arte nativa, ma il grosso dell'esposizione è ovviamente incentrata sulla sua maturità artistica e in particolare sulle opere e la tecnica che l'hanno reso celebre, ovvero quella del dripping. Il dripping, traducibile come "sgocciolamento", è una tecnica elaborata, nella sua forma più tipica, da Pollock alla fine degli anni 40 e consiste proprio nel far sgocciolare il colore su una tela (di solito di grandi dimensioni) posta a terra. Il colore viene fatto sgocciolare gestualmente da bastoni o pennelli o, addirittura, direttamente da barattoli o contenitori bucherellati: "Continuo ad allontanarmi dai tradizionali strumenti del pittore come cavalletto, tavolozza, pennelli ecc. Preferisco bastoncini, cazzuole, coltelli e lasciar colare il colore oppure un impasto fatto anche con sabbia, frammenti di vetro o altri materiali ". Questa tecnica, per la sua spontaneità, è associabile alla cosiddetta "scrittura automatica" surrealista, che permette di far emergere pensieri e conflitti sepolti sotto la soglia di coscienza, ma anche e soprattutto, alle danze tribali dei nativi americani, per la consuetudine di Pollock, in fase di creazione, di "danzare" intorno alla tela posta a terra aggiungendo schizzi di colore quasi in una sorta di stato trance che cattura artista ed opera in un legame di armonia indissolubile. L'opera finita è quindi l'espressione di questa armonia. "Avere la tela a terra mi fa sentire parte del dipinto" dichiarerà Pollock e se l'opera risulterà confusa è solo perchè l'artista è uscito da questo legame con essa, rompendone l'armonia che porta alla sua creazione: "Quando sono "dentro" i miei quadri, non sono pienamente consapevole di quello che sto facendo. Solo dopo un momento di "presa di coscienza" mi rendo conto di quello che ho realizzato. Non ho paura di fare cambiamenti, di rovinare l'immagine e così via, perché il dipinto vive di vita propria. Io cerco di farla uscire. È solo quando mi capita di perdere il contatto con il dipinto che il risultato è confuso e scadente. Altrimenti c'è una pura armonia, un semplice scambio di dare ed avere e il quadro riesce bene". Il dripping è perciò una tecnica che coinvolge l'artista con tutto il suo corpo, lo costringe ad indagare sulla sua gestualità, sulle variazioni dei suoi movimenti, sugli effetti segnici dei suoi gesti sulla tela arrivando "all'espressione di un'idea" che è presente non solo nell'artista, ma anche già nel dipinto che sta nascendo,o più precisamente, nel legame tra uno e l'altro: "Il dipinto ha già una sua vita propria. Io cerco di farla emergere".
Esempio paradigmatico del dripping, opera fondamentale nella produzione Pollockiana e ospite d'onore della mostra, è sicuramente l'opera Number 27.

Number 27, J. Pollock, 1950


Un quadro di grandi dimensione, circa tre metri di lunghezza, caratterizzato da una musicalità e un autosostentamento percettivo davvero formidabile. I drappeggi di colore sono perfettamente bilanciati sia cromaticamente e spazialmente e il rapporto tra lo spazio materico e la tela bianca va a costituire un'armonia interna che consente allo spettatore di abbracciare con la vista tutta l'interezza dell'opera. Il bianco copre con violente sferzate di colore gran parte del dipinto, incrociandosi con sinuosità rosa, grige e gialle, lasciando emergere a sprazzi dal fondo lingue e abissi di colore nero, quasi fosse una danza sullo spazio universale. In questo modo il quadro assume grande profondità, nonostante il groviglio di linee e la forte saturazione cromatica. Quest'opera è un perfetto esempio dell'espressività del dripping e di una pittura che si affida ad un movimento totalizzante intorno ad una tela di grandi dimensioni posta a terra. L'opera di Pollock esprime qualcosa di profondamente ancestrale, le sue tele sono come degli spazi naturali aperti, dove l'artista si muove in armonia ed esprime la melodia interiore di questo rapporto. La sezione dedicata a questo genio dell'arte mondiale è impreziosità, oltre che dalle opere, da istallazioni video che ci mostrano Pollock al lavoro, ed è veramente affascinante poter ammirare le sue danze, le sue spruzzate di colore, il movimento che sembra così irrazionale e nello stesso tempo così efficace, necessario, armonioso.
Proseguendo nella mostra ed uscendo dalla sezione dedicata a Pollock, entriamo in una stanza dove ci sono tante opere di diversi autori. Queste opere conservano tutte l'attenzione per il gesto e un legame con la poetica di Pollock, tuttavia si mescolano più esplicitamente con altre influenze non arrivando all'estrema radicalità dell'action pianting di " Jack The Dripper" ( così era stato soprannominato Pollock nel '56 dalla rivista Time). Troviamo quindi autori come: Ad Reinhardt, con la sua Numero 18 che strizza l'occhio all'astrattismo russo, Gorky dove sono visibili forti influenze surrealiste e cubiste seppur declinate in un'aria astratta dai colori caldi e morbidi, Motherwell con le sue forme piatte, ricamate da un tratto essenzale, su sfondi dai colori intensi e brillanti, che anticipano le sue sperimentazioni tecniche con stampa e collage; Baziotes con le sue figure che ricordano alcune opere di Mirò, Tobey con il suo tratto calligrafico su colori tenui e acquosi, che vanno a formare una trama mistica dal sapore quasi mediorientale, Still con un'opera caratterizzata da colori accesi e dai forti contrasti e, infine, Pousset D'Art, con una tela di grandi dimensioni caratterizzata da un tripudio di colori materici e da un'estetica che richiama fortemente l'arte primitiva e sudamericana.
Nella sala successiva troviamo uno spazio dedicato ad un altro dei grandi esponenti dell'espressionismo astratto, ovvero Franz Kline. Il gesto sembra farla da padrone, le sue tele bianche sono imperversate da potenti pennellate nere che tagliano e sagomano lo spazio pittorico. Le opere di Kline hanno una forte ascendenza arichitettonica. Pur essendo avvicinato spesso a Pollock, i suoi quadri sono molto più "strutturati", e il segno risulta molto più "controllato" e "geometrico" nella sua intensità, spesso, infatti, erano anche anticipati da un bozzetto a matita. Bianco e nero si fondono in una composizione percettiva equilibrata ed espressiva, perciò, in risposta a chi lo accusava di tirare delle pennelate nere su una tela bianca, Kline rispose che lui, in realtà, " dipingeva sia il bianco che il nero", proprio per l'importanza della relazione tra i due spazi cromatici.

Mahonig, F. Kline, 1956


Dopo Kline ci si sposta progressivamente verso il color fields e la sala successiva ci presenta alcuni artisti che incarnano bene una mezza via tra la valorizazzione gestuale e la ricerca sull'accostamento di campi cromatici costrastanti. Troviamo quindi Helen Frankethaler con il suo Territorio Blu e Hans Hoffman con Dominanza Orchestrale in Giallo dove tasselli ultramaterici di colore si accostano e si fondono in una vera e propria "fanfara" in cui il giallo è il colore dominante.

Territorio Blu, H. Frankethaler, 1955

Dominanza orchestrale in giallo, H. Hoffman, 1954


Proseguendo troviamo artisti come Morris Louis, già tutto orientato verso il color field con le sue campate di colore tenue e acquarellato in cui il gesto sembra essersi sciolto o come Sam Francis, che lascia grande spazio al bianco facendo penetrare il colore per "colamento spontaneo" dai lati della tela, nascondendo, in questo modo, il gesto dirompente e aprendo la strada al futuro minimalismo.
Prima di passare all'ultima parte della mostra, si ha uno spazio dedicato a De Kooning, i cui quadri, pur accostando grandi superfici cromatiche ed essendo caratterizzati da un segno, scuro e spigoloso, fortemente gestuale, sembrano ancora legati in qualche modo ad un residuo di figuratività.
Nella zona conclusiva dell'esposizione abbiamo i rappresentanti più estremi ed influenti del Color Fields. In particolare troviamo Reinhardt, con i suoi accostamenti di colore profondamente geometrici, che richiamano sia l'optical art che la pittura monocroma, Barnett Newman con le sue campate monocromatiche divise da linee più o meno geometriche o sfumate e infine, Mark Rothko con due opere di grandi dimensioni che ci mostrano la sua tipica interpretazione del Color Field, con l'accostamento di fasce cromatiche rettangolari, luminose e dai contorni sfumati, che sembrano stagliarsi come vento solare sulla tela. 

Senza titolo, M. Rothko, 1954


Le opere di Rothko sono caratterizzate da una singolare aura spirituale, un senso di calma e armonia che trova proprio nello studiatissimo ed equlibrato accostamneto di colore la sua causa primaria.
Per concludere, Pollock e gli irascibili è sicuramente una mostra da vedere, capace di coinvolgere il fruitore grazie alla presenza di opere eccezionali ed alla saggezza espositiva. Ci si trova immersi in un percorso ricco di molteplici mezzi comunicativi, che fondono il nostro approccio contemporaneo al mondo dell'arte e della cultura, attraverso i mezzi mediatici, i video, la riproduzione di immagini con i soggetti reali. Questa grande varietà permette a questa mostra di non essere solo una "mostra d'arte" ma il ritratto della cultura di un tempo, una stagione unica per l'arte e il pensiero creativo. Una stagione di rottura e innovazione, che in letteratura dava i natali alla Beat generation, con Keruack e Ginsberg, al cinema si esprimeva nei miti ribelli di Marlon Brando e James Dean, in musica suonava le note di Miles Davis e lavoce intensa di Elvis e in arte si intravedeva già la nascente pop art con il suo alfiere Andy Warhol e dall'altra parte, ovviamente, arrabbiati e sognatori, Pollock e gli irascibili.
 
Per saperne di più:
http://www.mostrapollock.it/gallery/ 
Comune di Milano
http://www.autunnoamericano.it/ 
 
 

2 commenti:

  1. Non capisco troppo d'arte... ma sono dipinti ammirevoli

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La mostra è veramente interessante, davanti a queste opere ci si emoziona, sono "un'eperienza"! Dal vivo hanno un'impatto percettivo pazzesco, sicuramente da provare!;)
      Grazie per il commento!
      A presto!
      Matteo

      Elimina