lunedì 24 febbraio 2014

Gli occhi e il buio

Gli occhi e il buio


Passione, illusione, illuminazione, genio e follia dentro la psiche umana



Gli occhi e il buio, graphic novel Bonelli, firmata Gigi Simeoni ed uscita nel 2007, si apre a Milano su una terrazza, in una notte di pioggia e sullo sfondo uno stupendo ritratto. Il protagonista, Alessandro Simonetti, sotto la pioggia, in quello che ci sembra un momento catartico, delirante ed allucinante, ci dichiara fin dai primi istanti come questa sia la fine. La storia che segue è un lungo flash back, raccontato in prima persona da Simonetti stesso. Così di colpo ci ritroviamo a Parigi nel 1907 in compagnia di un uomo distinto, decisamente lontano apparentemente dall'uomo sporco e sudato delle prime pagine, e di una donna, Luisa, giovane, bella e vitale. Luisa, figlia di una famiglia facoltosa e impegnata nell'industria dell'automobile rappresenta la vita stessa di Alessandro, giovane ritrattista al servizio della classe nobile parigina. Dentro l'animo del giovane pittore ribolle però la curiosità e la voglia di sperimentare, di cercare e di approcciarsi a quelle che sono le avanguardie artistiche degli inizi del '900. Il futurismo, il cubismo, la secessione viennese, Alessandro è fortemente attratto da questo mondo che si esprime e comunica attraverso la pittura, tuttavia è troppo pigro per lasciare una situazione di agi e comodità. Suo alterego è invece Angelo, il suo migliore amico. Angelo rappresenta ciò che Alessandro vorrebbe essere e non è, un pittore che segue le avanguardie, che non vive nel lusso e non si sottomette in qualche modo al soldo, si sente libero seppur povero. Già in questa prima parte, la prima vita di Alessandro, il pittore ci sembra infelice, fatta eccezione per Luisa egli non si ritiene soddisfatto della sua situazione e non è appagato da ciò che dipinge. Il punto di svolta avviene con la tragica morte di Luisa in un incidente d'auto. Il mondo di Alessandro sembra crollare, ma in quegli ultimi istanti di vita della ragazza,Alessandro vede la svolta, vede l'ispirazione per la sua arte. Negli occhi di Luisa il giovane ritiene di vedere la forma dell'anima. Questo è l'inizio, il vero inizio di tutto, della sua seconda vita. L'arte è ciò a cui egli si appiglia per andare avanti. La ricerca della forma dell'anima è ciò che può e deve non rendere vana la morte di Luisa, la sua salvezza, ciò che lo può liberare dalla sua condizione.



Ci ritroviamo quindi a Milano nello studio di Alessandro, un pittore ormai delirante che vive solo per la sua ricerca. Nella memoria le immagini sfumano e l'ispirazione va rinfrescata, alimentata e ricercata. Trovare la forma non basta e ad essa si aggiungono continui interrogativi, in particolare, quello su una misteriosa forma antropomorfa negli occhi di Luisa.



Intanto un mostro, il Fante di Cuori, terrorizza Milano. Un assassino seriale apparentemente privo di movente. Matteo De Vitalis, commissario delle guardie della città, forma una squadre anti mostro e con l'utilizzo delle nuove tecniche scientifiche indaga sugli efferati omicidi.
Non è sicuramente mia intenzione svelare la storia, ma già dalle prime battute emerge come il racconto, realistico, non voglia essere un semplice giallo. A tutti è chiara l'identità del Fante di Cuori fin da subito, nonostante ciò non mancano i colpi di scena, la narrazione è avvincente, coinvolgente e molto scorrevole. Il lettore si trova a compiere come un viaggio all'interno della psiche umana, vede emergere i primi disturbi, li vede maturare, evolvere e dilaniare tutto ciò che rimane di ancora razionale. Gli occhi e il buio, si pone sicuramente in modo interessante verso la letteratura poliziesca.
Anche il ritratto sociale è sicuramente chiaro, interessante e ben fatto, sullo sfondo della vicenda si dispiegano le contraddizioni, le spinte e i caratteri della Belle Epoque. Ci si immerge nel clima delle avanguardie, il discorso artistico diventa un filo sottile che permea tutto il racconto non solo nella vicenda personale di ricerca di Alessandro, ma anche nella descrizione della società. Sono anni di mutazione, trasformazione, dove la classe sociale borghese si trova di fronte ad una cambio di paradigma artistico. Da un lato c'è una sorta di apertura data dalla consapevolezza che i "ricchi si intendono di arte per forza", dall'altra tutto ciò che esprime mutazione ha un gusto reazionario, sovversivo. Questo panorama emerge nel raccondo, in sottofondo, senza voler essere troppo invasivo. 
Per concludere Gli occhi e il buio è una lettura decisamente consigliata, fresca ed avvincente, non solo per chi ama i gialli.


sabato 22 febbraio 2014

Il sequel di Fight Club a fumetti



“Avevo voglia di distruggere tutte le cose belle che non avrei mai avuto. Bruciare le foreste dell'Amazzonia. Pompare clorofluoroidrocarburi in ciclo a mangiarsi l'ozono. Aprire le valvole nei serbatoi delle superpetroliere e svitare i tappi sulle piattaforme petrolifere. Volevo uccidere tutti i pesci che non potevo permettermi di comperare e annerire le spiagge della Costa Azzurra che non avrei mai visto.
Volevo che il mondo intero toccasse il fondo.”






Nel 1996 usciva Fight Club e il mondo si confrontava per la prima volta con il fenomeno Chuck Palahniuk. Un’opera violenta, estrema, allucinata, vagamente distopica, che divenne in breve tempo un cult e un libro generazionale.

 Un anonimo impiegato, alienato e falcidiato dall’insonnia, incontra Tyler, un eccentrico venditore e produttore di sapone, che predica e auspica la distruzione della civiltà contemporanea. Quest’ultimo diventa il guru del primo e sarà l’inizio di una relazione che porterà alla creazione del Fight Club, un circolo underground di lottatori clandestini. L’obbiettivo iniziale è quello di far sfogare una miriade di repressi paria moderni, che in quelle lotte segrete combattono ognuno contrò ciò che odia. Tuttavia, da mera valvola di sfogo, il Fight Club , sotto la guida di Tyler, si trasformerà  ben presto in un esercito di sovversivi intenzionati a scardinare la società contemporanea con qualunque mezzo (Operazione Caos o Mayhem). L’anonimo narratore e protagonista della storia si accorge allora che Tyler va fermato, ma chi è davvero Tyler? Come bloccare una situazione che sembra irrimediabilmente sfuggita di mano?

Chi ha letto il libro, o ha visto il celebre film di David Fincher del 1999, sa già qual è la risposta a queste domande. Chi, invece, non l’avesse ancora fatto, spero riesca a scoprirlo presto dalla lettura delle pagine di Palahniuk o dalla pellicola di Fincher. Infatti, scoprire come va a finire Fight Club, potrebbe essere interessante, non solo per conoscere l’epilogo di una delle vicende letterarie più sconvolgenti degli ultimi anni, ma anche per prepararsi al suo seguito. Palahniuk ha infatti dichiarato che entro il 2015, probabilmente,  uscirà il sequel di Fight Club ( che non ha ancora un titolo definitivo) e la cosa più peculiare di questo progetto è che si tratterà di una graphic novel a puntate.




La notizia è arrivata durante il Comic-Con 2013 di San Diego e la conferma ufficiale è stata data  poco tempo dopo dall’autore stesso. Su quella che sarà la trama si sa ancora molto poco e non mi sembra il caso di spoilerare i pochi e insicuri rumors. L’unica cosa che sembra certa è che la vicenda si svolgerà dieci anni dopo gli avvenimenti del romanzo originale e, anche se da un punto di vista opposto, continuerà a trattare dell’anima schizofrenica della classe media contemporanea, tra stabilità alienante e distruttiva pulsione di vita. Poco si sa anche della casa editrice a cui Palahniuk affiderà il suo script, che, secondo le dichiarazioni dell’autore, sarebbe già concluso.  Una delle poche cose sicure è che lo scrittore americano avrebbe inviato il suo prodotto al famoso sceneggiatore di fumetti Matt Fraction per avere un feedback.

La decisione di Palahniuk di pubblicare il sequel del suo libro più famoso affidandosi al medium fumettistico è sicuramente una scelta che fa pensare. Molto del successo di Fight Club è certamente arrivato dal film di Fincher, perciò,  l’opzione di realizzare il seguito su un supporto che mette insieme immagini e parole, potrebbe essere vista come una scelta espressiva efficace, oltre che commercialmente valida. Stando sempre sul lato commerciale, Palahniuk, ha inoltre dichiarato che per motivi contrattuali gli sarebbe impossibile pubblicare un altro romanzo prima del 2016. Infatti, il prossimo anno uscirà Beautiful you ,il suo ultimo romanzo, seguito a breve da una raccolta di racconti, tuttavia, dal momento che “Fight Club II” sarà una graphic novel, l’editore dovrebbe permettergli di pubblicarlo prima del 2015.

Operazione commerciale o nuova linfa per un’opera che ha segnato una generazione?  Di certo scrivere il seguito di Fight Club per Palahniuk non deve essere stato facile e chissà se nella mente gli è passata una delle frasi più famose del suo capolavoro :« Certe volte fai una cosa e finisci fottuto. Certe volte sono le cose che non fai e finisci fottuto». Staremo a vedere questa graphic novel per decidere.



 http://www.artspecialday.com/fight-club-ii-a-fumetti/

martedì 11 febbraio 2014

Wolf Children. Educare, crescere, scegliere



Il rapporto genitori/figli analizzato con leggerezza e profondità. Momuro Hosoda confeziona una splendida fiaba moderna che ci fa riflettere su quanto sia difficile educare e crescere.






Genitori e figli. Educare e crescere. Il numero delle opere letterarie e cinematografiche che si basano su queste semplici coordinate si sprecano. Eppure, nonostante questo, il complicato compito di prendersi cura al meglio della propria prole e l’altrettanto difficile diritto e dovere di farsi largo nelle strade della vita, sembrano non essere mai sviscerati abbastanza. D'altronde è un tema complesso, così ricco di possibili variabili, così imprevedibile nei suoi sviluppi, così arduo da mostrare e analizzare, soprattutto in una narrazione con un tempo e uno spazio limitato, come i minuti di un film o le pagine di un libro. Come si fa, allora,  a prendersi l’onere di raccontare la vita nel suo svolgersi? Come si può fare a farlo senza banalizzare o senza estremizzare i suoi avvenimenti? Come si può farlo in un film d’animazione di nemmeno due ore, dove, tra l’altro, tra i protagonisti troviamo dei licantropi?
Per tentare di dare una risposta a queste questioni (soprattutto all’ultima), un’ottima idea sarebbe quella di trovare un po’ di tempo e guardarsi Wolf Children, ultimo film di Mamuro Hosoda (1967), passato nei nostri cinema un solo giorno ( 13 novembre 2013) e ora disponibile in DVD e Blu-ray.
Il film narra la vicenda di Hana, giovane studentessa universitaria, che tra lezioni e lavoretti part-time si innamora di un ragazzo misterioso e taciturno. I due iniziano una relazione, fino a quando il ragazzo non svela ad Hana uno scioccante segreto: quello di essere un licantropo. Nonostante questo, l’amore tra i due non viene meno e Hana dà alla luce due bambini, Yuki e Ame, nati anche loro con la stessa capacità del padre. Quando questi sono ancora piccoli il padre muore tragicamente. Di conseguenza Hana è costretta a farsi carico da sola dei propri figli e decide, quindi, di trasferirsi dalla città alla campagna per proteggere la natura dei piccoli , fino al momento in cui essi sarebbero stati abbastanza grandi per decidere dove voler vivere, nel mondo degli umani o nella natura, come lupi, in tutto e per tutto.




Dopo aver letto la trama, potreste pensare che Wolf Children sia una favoletta fantasy per bambini e quindi decidere di snobbarlo come tale. In tal caso fareste un grosso sbaglio. Hosoda, infatti, ha realizzato un’opera ambiziosissima, che si propone di lasciar fluire la vita davanti ai nostri occhi, ponendo enfasi sulle tantissime sfaccettature dei rapporti famigliari e mostrando con delicatezza il peso dell’esistenza e delle scelte che essa ci obbliga ad affrontare. L’elemento fantastico della doppia natura umano/lupo ci conduce a diversi riferimenti metaforici. Esso, infatti, sottolinea il sentimento di inadeguatezza che una madre prova nel confrontarsi con il compito di crescere i suoi figli (una madre completamente umana per due bambini metà uomo e metà lupo), inoltre enfatizza la problematica di conoscere se stessi, proponendo una scissione di partenza che deve essere accettata e ricomposta e, infine, ci pone davanti al dovere, proprio di ognuno di noi, di scegliere il nostro posto nel mondo.
Il film è cosparso di momenti davvero memorabili, dove i sentimenti esplodono in immagini stupende e i personaggi rivelano tutta la loro complessità e fragilità. Così, dietro i perenni sorrisi di Hana, si nasconde la paura di non aver fatto abbastanza per i suoi figli, dietro l’apparente timidezza di Ame, c’è il carattere fiero di un lupo solitario che sente il richiamo della foresta e nell’esuberanza di Yuki si cela una profonda insicurezza. Wolf Children punta ad un realismo nella descrizione delle relazioni umane che è straordinario per un’opera d’animazione. Hosoda contrappone ai fantastici voli di Miyazaki, un’ eccezionale attenzione per il quotidiano, che non punta a sconvolgere e meravigliare, ma “solo” a farci comprendere e partecipare delle tortuose vite dei personaggi e delle loro decisioni, fino a quel “ Vivi la tua vita!” finale, gridato al cielo come un selvaggio ululato alla luna.



giovedì 6 febbraio 2014

Distopie. Da Huxley agli Zombie










Al contrario di quanto si potrebbe pensare, sono sempre stato attratto dalla fantascienza, non tanto per il suo aspetto immaginario, ma per la sua particolare perspicacia nell’interpretare i sintomi delle piccole tensioni del presente. Per me, infatti, chi si occupa di fantascienza è come un medico che, dopo aver analizzato il corpo sociale, fornisce un responso sulla sua condizione attuale  e possibile evoluzione.
Ci sono due macro generi fantascientifici che incarnano molto bene questo aspetto “diagnostico”. Il primo è l’utopia e il secondo è la distopia. Ed è proprio su quest’ultimo che mi piacerebbe esprimere qualche parola.
Il romanzo distopico è caratterizzato dalla messa in scena di una situazione sociale  che è, potenzialmente, la peggiore possibile. A partire dall’inizio del novecento gli esempi letterari su questo tema si sprecano. Per fare qualche nome, potremmo citare tre libri universalmente riconosciuti come capolavori del genere, ovvero,( in ordine cronologico): Il mondo nuovo di Aldous Huxley, 1984 di George Orwell e Farenheit 451 di Ray Bradbury.
Il primo anticipa concetti quali lo sviluppo delle tecnologie della riproduzione, l'eugenetica e il controllo mentale, usati per forgiare un nuovo modello di società. Il secondo, invece, ci mette di fronte al quadro di una società fortemente gerarchica, basata su un regime propagandista che si serve della tecnologia per controllare ogni singolo membro della società. La giustizia è amministrata con un sistema penale violento che persegue l’eliminazione di ogni dissenso. Sul piano culturale è fondamentale la riscrittura continua della storia e della memoria, l’incitamento all’odio verso ciò che è esterno o diverso e il conseguente assoluto conformismo. 1984 è l’estremizzazione del totalitarismo politico e tecnologico. Infine, l’opera di Bradbury, si concentra maggiormente sul tema della mediazione culturale e del controllo dei canali di informazione. I libri bruciano e la televisione continua a parlare, come un pappagallo guidato da un governo che arriva ovunque.
 I tre romanzi che ho citato trovano un punto comune nella presentazione di uno stato totalitario, in cui la popolazione è controllata in ogni momento della vita. Ovviamente, questo modello, è stato molto popolare nella prima parte del ‘900 dove la Germania nazista e la Russia sovietica fornivano un “esempio reale” di distopia. 






Andando avanti con gli anni e arrivando fino ai giorni nostri, a mio parere, il modello distopico che ha prevalso è qualcosa di opposto a quello incentrato sul totalitarismo e il controllo. La caduta dei grandi blocchi politici, la globalizzazione sociale ed economica, lo sviluppo della tecnologia informatica, internet, l’avvento dei social network e l’avanzamento spropositato della biologia e dell’ingegneria genetica, hanno risvegliato in noi nuove fobie ( o letteralizzato quelle antiche), che la fantascienza, come sempre, ha saputo cogliere e interpretare. Pensiamo ad esempio a Neuromante (1984), di William Gibson, manifesto del cyberpunk e pioniere nell’analisi della relazione  tra l’uomo e la macchina nell’epoca cibernetica. Il cyberspazio è un luogo incontrollabile, fatto di connessioni volatili e di fibre ottiche, dove il rapporto tra cultura e natura viene riscritto. La riproduzione in serie dell’epoca meccanica, la catena di montaggio che aveva ispirato l’omologazione riproduttiva di Huxley, viene sostituita dalla modificazione genetica e tecnica che porta all’ibrido e al cyborg.
La distopia ora è il caos, l’assenza di controllo, l’abbattimento del limite e della definizione, che si manifesta sia nella liquidità della rete informatica, sia nello spettro di un ritorno allo stato primitivo. Antecedenti storici, come Il Signore delle Mosche di William Golding , ci avevano già illuminato in qualche modo su questo tema. Parlando di tempi più recenti, potremmo pensare ad uno dei più bei romanzi degli ultimi anni: La Strada di Cormac McCarthy. In uno scenario post-apocalittico, “l’uomo e il bambino”, protagonisti senza un nome, quasi ad indicare un ritorno al pre-linguistico, vagano in una landa grigia e desolata, dove vige l’etica della violenza bestiale e la civiltà è rappresentata da macerie e oggetti in disuso. Un altro esempio fondamentale potrebbe essere rappresentato dalla moda attuale per gli zombie o gli “infetti”. La paura del disastro batteriologico o di un’epidemia mondiale, che spacchi i legami civili per farli cadere nel baratro della ferinità. Anche qui, la distopia in atto, è quella del caotico, dell’incontrollabile e dello stato bestiale. Gli zombie di Kirkman (The walking dead), così diversi da noi, ma allo stesso tempo così simili, sono la materializzazione delle nostre attuali paure. Esse assediano la nostra parte razionale che, come i sopravvissuti al contagio, si ripara nel fortino di turno, sperando in un ritorno ( o in una non caduta) della nostra civiltà civile.




mercoledì 5 febbraio 2014

Zombo

Mondi di morte, agenti clonati, cannibali psicopatici, terribili mostri, aspiranti suicidi, pop star e talent show. Tutto questo e moltissimo altro è Zombo, di Al Ewing e Larry Flint. Un trip psichedelico inzuppato di humor nero e satira sociale.



Quando si pensa agli zombie, sia in un libro che in un film, quello che ci può venire in mente è più o meno questo:
1. va tutto bene
2. si inizia a vedere qualche persona non proprio a posto,
3. il furbone di turno scopre che c'è stata un'epidemia
4. ecco un piccolo branco di sventurati intenti a scappare da un orda di non morti che dilaga dappertutto sperando di trovare un posto sicuro o una cura.
Quante volte, polpettato in varie maniere e con varie scuse, abbiamo assistito a questo copione?
Probabilmente troppe.
Detto questo, acquistare un fumetto che in copertina ha un enorme zombie che dice "Posso mangiarti per favore?", potrebbe essere una scelta quantomeno discutibile, di quelle che portano al classico "è sempre la solita roba". Ecco, di Zombo, scritto da Al Ewing e disegnato da Larry Flint, si potrebbe dire di tutto tranne che è "sempre la solita roba".
Il volume è diviso in due "storie". La prima vicenda inizia sul pianeta Chronos, un "mondo di morte", che sembra uscito da un trip psichedelico. E' in questo luogo ostile che precipitano i passeggeri del volo 303. Tra loro ci sono due agenti governativi clonati, che ritengono l'autorità del governo qualcosa di indiscutibile e proteggono una grossa capsula contenente un essere misterioso. Questo essere è Zombo, morto vivente artificiale, amante della carne umana, aggressivo, ma educato al punto giusto, con il sogno di diventare una stella del pop. In questa prima parte della trama, Ewing, si diverte a mettere su carta più o meno ogni cosa che gli sarà passata per la testa. L'atmosfera sfocia spesso nell'assurdo, nel comico e nel demenziale: morti incredibili, smembramenti, personaggi completamente schizzati, cannibali psicopatici, piante carnivore, mostri di qualsiasi tipo, sono questi gli elementi che affollano l'universo di Zombo.Tuttavia, al contrario di quanto potrebbe sembrare, la follia e le invenzioni dello sceneggiatore mantengono sempre una certa intelligenza, il senso di grottesco è sempre presente, ma si percepisce la sottigliezza dei testi e delle situazioni proposte.



Passando alla seconda vicenda, questa volta, ci troviamo sulla terra. La narrazione ruota attorno ai complotti di un gruppo di produttori di Talent Show e alle macabre imprese di un gruppo di strani individui, I Suicide Boys, sorta di emo estremi, ossessionati dal filmare morti violente per poi postarle e votarle su un canale Web chiamato "Death Tube". In questa parte ci sono trovate davvero geniali e la critica sociale si fa molto più palese. Ewing ironizza sul mito dello spettacolo, sulla moda dei talent show e la mercificazione del corpo e del talento. E' presa di mira l'ansia del successo mediatico e il morboso attaccamento alla condivisione di contenuti in internet, specialmente quando contribuisce a creare una sorta di "nicchia" culturale e linguistica. Questo spesso porta a realtà abberranti, nel fumetto esemplificate dagli estremi Suicide Boys, che vivono nell'attesa di filmare la "morte migliore" e gratificarsi con le "cinque stelle" di voto degli altri utenti del social. Comunque, nonostante la forte valenza critica, l'opera non smette mai di conservare una grossa dose di umorismo e leggerezza, che la rende sempre piacevolissima alla lettura.




Per quanto riguarda i disegni, a mio parere, il lavoro di Flint è davvero ottimo. Le tavole sono un tripudio di colori acidi e psichedelici e contribuiscono a creare delle tavole dall'impatto visivo notevolessimo. I personaggi sono sempre caratterizzati molto accuratamente, con ricchezza di particolari dall'originalità indiscutibile. Anche per quanto riguarda gli ambienti ci troviamo ad alti livelli, infatti, sia negli scenari naturali, sia in quelli cittadini o negli ambienti c'è sempre una grande attenzione per i particolari e il tocco personale dell'artista è sempre ben percepibile.
Per concludere, Zombo è sicuramente un'opera sopra le righe, un lavoro che osa e lo fa in maniera intelligente e strutturata. Consigliato a tutti quelli che amano gli scenari grotteschi, l'umorismo nero british e una tendenza alla presentazione di una distopia folle che, pur prendendosi sempre un pò in giro, fornisce notevoli spunti di riflessione.


lunedì 3 febbraio 2014

I Beatles sulle “nuvole”







 Ripropongo qui un breve articolo apparso su Artspecialday il 3 febbraio 2014

«Erano più famosi di Gesù!». Queste sono le parole con cui il bigottissimo Ned Flanders, in una puntata dei Simpsons, spiega la sua passione per i Beatles e sembra davvero difficile dargli torto. Non c’è, infatti, bisogno di dire quanto il quartetto di Liverpool abbia influenzato la nostra epoca, sia musicalmente che culturalmente. Oltre ai loro pezzi, consacrati ormai dalla storia all’immortalità, i Fab Four sono una vera e propria icona universale, un’immagine collettiva paradigmatica.

Non a caso Rolling Stone li ha nominati “il più grande gruppo di tutti i tempi”, suscitando in me un piccolo brivido, in quanto davanti a Dylan (2°posto) non andrebbe mai messo nessuno ( chi mi conosce sa che non potevo trattenermi da questa uscita). Il loro mito è così radicato nel nostro tempo, che è diventato ormai parte del patrimonio storico-culturale, come dice Hunter Davies «Oggi in tutto il mondo esistono scuole, college e università dove i Beatles sono argomento di studio, di insegnamento, di analisi e di ricerca».

Sui Beatles, la loro musica e la loro vita, si sono scritti migliaia di libri e girati alcuni film (uno degli ultimi è Nowhere Boy del 2009, diretto da Samuel Taylor Wood). Non può sorprendere, dunque, che anche la nona arte, il fumetto, risenta della loro influenza. Un esempio particolarmente interessante risiede in una delle ultime serie uscite per i tipi della Image Comics, ovvero “Nowhere Man”, scritto da Eric Stephenson e illustrato da Nate Bellegarde e Jordie Bellaire. I protagonisti sono 4 scienziati fondatori di un’ azienda di ricerca e sviluppo, la World Corp, molto influente a livello planetario grazie ai suoi risultati nel campo della genetica e della biocibernetica. La trama si incentrerà sulle conseguenze del  loro lavoro, sui loro rapporti e sulla potenza mediatica della loro immagine, in un susseguirsi di flashback e nuovi avvenimenti. 



Eric Stephenson ha dichiarato che la prima ispirazione per i suoi quattro scienziati è arrivata proprio dai Beatles, in quanto pensare ad un quartetto di fama mondiale non poteva che rimandare a loro. Questo è evidente  dal nome del fumetto, che è il titolo di una loro canzone e dall’estetica dei personaggi, inoltre, in un dialogo, i quattro scienziati si paragonano ai Beatles chiudendo il discorso con uno slogan emblematico: “Science is the New Rock ‘n’ Roll”.

Se in Nowhere Man possiamo rilevare tutta la potenza di un’immagine immortale, quella dei Beatles, che riesce ad influenzare la creazione dei protagonisti per un plot fantascientifico, ne “Il quinto Beatle”, scritto da Vivek J. Tiwary e illustrato da  Andrew C. Robinson e Kyle Baker,  I Fab Four, diventano attori cooprotagonisti. L’opera, infatti, riguarda la vita di Brian Epstein, “il quinto Beatle”, il manager che li ha scoperti e li ha portati alla fama mondiale tra il ’61 e il ’67, anno della sua morte per un mix letale di alcol e droghe. La vita di Epstein, ebreo e gay in un Inghilterra dove l’omosessualità era un crimine contro la legge, è raccontata con grande emozione e perizia tecnica. Il mito dei Beatles viene messo in scena da una luce diversa, quella dell’uomo che per primo ha visto il loro potenziale e che ha lottato contro un ambiente ostile per la sua intuizione, come dice Tiwary «non c'era nulla di culturale a Liverpool. Quando questo ebreo gay girava per la città dicendo “Ho scoperto una band locale e diventeranno più famosi di Elvis!” pensavano fosse pazzo»




Come spesso sostengo, il fumetto è un medium molto versatile. Esso permette di accostarsi ad una varietà spaventosa di temi e riesce ad interpretarli, grazie alla sua particolare forma, in maniera ironica e originale. Il 2013, oltre alle 2 opere che ho citato, sempre nel “campo musicale”, ci ha offerto altri buoni esempi di graphic novel. Basta pensare al validissimo “Haddon Hall” di Nejib, diario surreale e psichedelico delle vicissitudini di David Bowie ,oppure a “Quando ero un alieno”, che ci racconta l’infanzia e l’ascesa di Kurt Cobain.

E’ di grande interesse che personaggi e artisti di fama mondiale, che ormai, più che personaggi, sono simboli di qualcosa di universale, riescano in questo medium a trovare nuova linfa, sia come protagonisti, cooprotagonisti o anche solo ispirazione estetica, grafica o d’immaginario che sia. Qui abbiamo parlato di musica, di Beatles in particolare, ma, in generale, credo che il fumetto sia un ottimo medium per evidenziare ulteriori angolazioni e sfumature sulle icone della contemporaneità, che permettono di ragionare, ancora una volta, sull’effettiva vitalità di un immagine e sulla sua influenza.