martedì 22 aprile 2014

That’s the story of the Hurricane




Nel giorno di Pasqua, è morto Rubin Carter ( 1937-2014). Pugile nero dal gancio sinistro formidabile, sfidante al titolo mondiale dei pesi medi, non ricordato principalmente per la sua carriera sportiva, ma per essere stato una delle vittime della cattiva giustizia americana di stampo razzista più ispiratrici del ventesimo secolo.
“Lafayette Bar and Grill”, Patterson, New Jersey, 1966, alle 2.30 del mattino. Queste le coordinate geografiche e temporali in cui la storia di Rubin “Hurricane” Carter ha inizio. Una storia che per me ha una sola voce narrante, quella nasale di Bob Dylan, che la ripercorre tutta in quel pezzo da pelle d’oca che è, appunto, “Hurricane”, il brano d’apertura di Desire del ’76.

«Pistol shots ring out in the barroom night
Enter Patty Valentine from the upper hall.
She sees the bartender in a pool of blood,
Cries out, "My God, they killed them all!"»

Inizia così gli oltre otto minuti di una delle ballate più affascinanti della storia della musica e il racconto di una vicenda che sarà per molti simbolo di ingiustizia e discriminazione razziale.
Due uomini di colore entrano in un bar di Paterson e aprono il fuoco. Fred Nayouks e il barista Jim Oliver vennero uccisi sul colpo. Una donna, Hazel Tanis morì circa un mese dopo per le ferite d’arma da fuoco riportate, mentre Willie Marins sopravvisse, ma perse un occhio. Tre omicidi, tanti testimoni, nessun colpevole. Parte la prima telefonata alla polizia e le prime testimonianze.
Si parla di una macchina bianca con a bordo due uomini di colore. Qualcuno parla di Alfred Bello, un noto criminale, visto correre per Lafayette street. La polizia dirama l’identikit dell’auto ed è così che Rubin Carter ed un suo amico, John Artis, vengono fermati. La macchina sembra coincidere con quella descritta.

«Alfred Bello had a partner and he had a rap for the cops.
Him and Arthur Dexter Bradley were just out prowlin' around
He said, "I saw two men runnin' out, they looked like middleweights
They jumped into a white car with out-of-state plates."
And Miss Patty Valentine just nodded her head.
Cop said, "Wait a minute, boys, this one's not dead"
So they took him to the infirmary
And though this man could hardly see
They told him that he could identify the guilty men»

Al primo processo Bello e il suo complice, Arthur Bradley, identificano Carter come uno degli uomini di colore armati che avevano visto fuori dal bar la notte degli omicidi. Nonostante Willie Marins  non riconobbe Carter come colpevole della sparatoria, la giuria, ( composta da 12 persone bianche) sulla base della testimonianza di Bello, Bradley e l’assenso di Patrica Valentine( altra testimone oculare), condannò Hurricane e il suo amico all’ergastolo.
Nel frattempo Bello e Bradley ritrattarono la  testimonianza data al processo del ‘67, ma il giudice negò la mozione. Tuttavia, gli avvocati della difesa, sulla base degli elementi emersi nella ritrattazione, riuscirono a convincere la corte suprema del New Jersey a concedere un nuovo processo, ma fu una farsa e Carter e Artis furono di nuovo condannati a vita.

«All of Rubin's cards were marked in advance
The trial was a pig-circus, he never had a chance.
The judge made Rubin's witnesses drunkards from the slums
To the white folks who watched he was a revolutionary bum
And to the black folks he was just a crazy nigger.
No one doubted that he pulled the trigger.
And though they could not produce the gun,
The D.A. said he was the one who did the deed
And the all-white jury agreed»

Quando tutto ormai sembrava perduto, un ragazzo di colore, Lesra Martin, insieme ad alcuni amici, decisero di interessarsi al caso di Carter lavorando sodo con i suoi avvocati. Il loro impegno fu ripagato nel ’85, quando la loro petizione fu accolta dalla corte federale del New Jersey. Il giudice federale Haddon Lee Sarokin sentenziò, finalmente, che Carter e Artis non avevano avuto processo equo, affermando che l’accusa era basata su motivi razziali. Carter e Artis furono prosciolti da ogni accusa a loro mossa nel ’66.
19 anni di carcere e una brillante carriera stroncata. E ora che Hurricane è venuto a mancare rimane solo il rimorso per quello che sarebbe potuto essere. Il suo nome è stato riabilitato, ma quel tempo, quei 19 anni, nessuno sarà più in grado di restituirglieli.

«Now all the criminals in their coats and their ties
Are free to drink martinis and watch the sun rise
While Rubin sits like Buddha in a ten-foot cell
An innocent man in a living hell.
That's the story of the Hurricane,
But it won't be over till they clear his name
And give him back the time he's done.
Put in a prison cell, but one time he could-a been
The champion of the world»


2 commenti:

  1. Matteo .complimeni veramente interessante, anche perchè quasi nessuno ha ricordato questa morte e le canzoni, le pellicole , la storia in se stessa che ne è stata tratta!
    Grazie e abbraccio della sera!

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  2. Grazie per i complimenti Nella. La storia di Rubin Carter è stata di ispirazione per tante produzioni artistiche e rimarrà per sempre un simbolo indelebile di ingiustizia e discriminazione razziale. La morte di questo personaggio è stata un'occasione obbligata per ricordare.
    Contraccambio l'abbraccio.
    A presto!
    Matteo

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