giovedì 29 maggio 2014

Il corvo






"Ero un incurante teenager che non aveva pagato l'assicurazione dell'auto. La polizia locale conosceva bene la mia macchina, dunque chiamai "la ragazza che era Shelly" e le dissi : "Tesoro, perchè non passi a prendermi? Non mi posso permettere un'altra multa ora". Fu uno di quei momenti in cui la tua vita cambia irrimediabilmente per nessuna data ragione...Una serie di scelte che traballano e cadono come un domino, portandolo a conseguenze irrimediabili. Mentre prendeva l'auto per venire a prendermi fu investita da un guidatore ubriaco e uccisa su colpo. Ma nella mia mente, per qualche motivo irrazionale, ero io il responsabile".


Con queste poche e semplici parole, James O'Barr descrive la tragedia che gli ha cambiato la vita. Una ferita di una profondità indescrivibile, di quelle che arrivano fino alle viscere della coscienza, stravolgendo ogni tipo di pensiero razionale e portandoti giù, in un baratro che sembra non avere un fondo. Tutto si smaterializza e perde significato. C'è solo dolore e rimpianto.
Durante l'infinita caduta in quell'abisso O'Barr poteva solo gridare il suo dolore, farlo sgorgare copioso, come sangue da un taglio in mezzo al cuore, che non può cicatrizarsi. Il risultato di questa materia malleabile, fluida come impeto poetico e rabbiosa come la violenza più passionale, è una creatura tanto oscura e cruenta quanto delicata e romantica. Tutto questo, e tantissimo altro, è Il Corvo, un cult del fumetto indipendente, ispiratore di un film maledettamente leggendario e icona della cultura e dell'estetica dark wave anni '80. Un'opera che trasuda intensa disperazione ed esprime un'immaginaria voglia di vendetta, ma anche una celebrazione dell'amore e della sua immensa dolcezza.
Nel 2013, in occasione del 25° anno dalla sua pubblicazione, Edizioni Bd ha pensato bene di riproporre il fumetto di O'Barr in una bellissima edizione completamente rinnovata e io, finalmente, mi sono procurato il volume. Ovviamente, senza bisogno che lo dica io, l'esperienza di lettura de Il Corvo è qualcosa di straordinario.


La trama dell'opera è molto semplice. Eric e Shelly, due giovani fidanzati innamoratissimi e prossimi alle nozze, sono vittima di un' aggressione ad opera di 5 sbandati. Shelly verrà stuprata e uccisa davanti agli occhi del ragazzo, che sarà a sua volta colpito con un proiettile di pistola alla testa. Mentre i suoi occhi, vitrei e impotenti, assistono alla barbara violenza sulla persona da lui amata, Eric viene avvicinato da un corvo, che gli dice di non guardare. Miracolasamente il ragazzo si salva, protetto proprio dal corvo, simbolo, allo stesso tempo, di morte e resurrezione, traghettatore di anime nell'aldilà, ma anche accompagnatore terreno di quelle che, a causa di un dolore troppo grande, non riescono a trovare pace nel trapasso. Al risveglio dal coma Eric decide dunque di lanciarsi in una terribile vendetta contro chi ha ucciso la sua ragazza, spezzando per sempre il loro amore.
Il soggetto, come si può notare, non sembra essere nulla di particolarmente articolato e originale, ma quello che fa la differenza ne Il Corvo è come il tutto viene raccontato.


Partiamo inanzitutto dall'ambientazione. Ci troviamo in una Detroit che più oscura non si può. La città è costantemente immersa in una cappa buia e fumosa, i palazzi si ergono inquietanti e mal ridotti, tutto sembra scricchiolare, sembra di sentire un aria umida e malsana, mentre le strade pullulano di sporcizia e gente senza scrupoli. Dappertutto si respira un'atmosfera di decadenza, violenza e corruzione. In questo scenario da brividi vaga Eric, caratterizzato da un corpo sgraziatamente scultoreo, con un lungo pastrano di pelle nera e la faccia dipinta modi Pierrot. Subito dopo aver incontrato Eric, nella sua forma di "Angelo della Morte" e aver vagato per un poco nelle piovose strade di Detroit, ci rendiamo conto di una sorta di dicotomia che accompagnerà tutta la vicenda e caratterizzerà la stessa psicologia di Eric. Il protagonista, infatti, sarà l'artefice di una vendetta implacabile, feroce e quasi sadica, nel suo costante approccio ironico e verboso con le proprie vittime, ma sarà anche una figura romantica, atta a struggersi continuamente nelle immagini dell'amore perduto e nel tenero ricordo dei piccoli momenti quotidiani passati con Shelly. In questo modo, i costanti flashback della vita di Eric e Shelly, assumono un'aria onirica e sognante, diventando la sconfinata celebrazione dell'amore più ideale e puro, un santuario dove il protagonista si rifugia, danzando e piangendo, ben lontano dalla nichilistico sarcasmo che lo accompagna nella sua missione. La rievocazione costante dell'amore passato, pur essendo molto romantica e dolce, non è mai melensa, perchè si sente quanto sia sentita dall'autore. Non si percepisce artificiosità, ma solo tanto sentimento, provato sulla pelle e impresso con gesti delicati su carta.


Se Eric è un personaggio che conserva sempre una certa dualità (struggimento e sarcastico nichilismo, dolcezza e violenza), i suoi avversari sono persone incredibilmente monodimensionali, sono l'espressione di una violenza insensata, del vizio umano inestirpabile, della devianza sociale e della perversione. Volgari, violenti, drogati, folli e scellerati, come se ogni aspetto popolare ed estremo della nefandezza sociale urbana fosse in loro incarnato, degni figli e abitanti della Detroit da incubo tratteggiata da O'Barr.
Oltre alla caratterizzazione psicologica dei personaggi, un altro elemento che fa della tecnica narrativa adottata ne Il Corvo qualcosa di estremamente interessante è il massiccio uso di citazioni. In primis sono presenti i cosidetti "poeti maledetti", in particolare Baudlaire e Rimbaud, ma anche esponenti del mondo della musica e della corrente dark wave degli anni ottanta, veri e propri interlocutori privilegiati di O'Barr e colonna sonora ideale de Il Corvo, come Joy Division e The Cure. Le poesie e le citazioni musicali non hanno solo il compito di spezzare la narrazione, ma contribuiscono ulteriormente a farci entrare nella testa di Eric e, corrispettivamente, in quella di O'Barr stesso, partecipando delle parole che gli scorrono in testa e delle note che ispirano i movimenti del sua mano.


Passando quindi all'aspetto prettamente grafico dell'opera Il Corvo, risulta essere caratterizzato da un segno tanto impreciso quanto espressivo. I corpi risultano sempre sgraziati e le prospettive sono traballanti, innaturalmente oblique, ma tutto risulta estremamente efficace ai fini della comunicazione emotiva. La mano di O'Barr sembra guidata da un istinto nervoso capace di placarsi solo nelle parti di ricordo, dove disegna le scene più dolci fra i due innamorati. A questa dualità corrisponde anche una profonda differenza nella colorazione: negli sfondi cittadini e nelle violente scene d'azione a farla da padrone sono un nero intenso e l'uso ruvido dei retini per dare carica espressiva a situazioni e personaggi, mentre, nei flashback, i toni sono molto più sfumati e ovattati, descrivendo un'idilliaca atmosfera di armonia.
Per concludere, Il Corvo è molto di più di un'icona di una generazione e di una particolare atmosfera culturale tipica degli anni '80. E' una storia universale, capace di emozionare ancora chiunqe, anche a distanza di 25 anni dalla sua prima pubblicazione. O'Barr ha dato vita ad un'opera che ha a che fare con sentimenti viscerali come il dolore per la perdita di una persona amata, la voglia di vendetta, la difficoltà di perdonare e perdonarsi, senza morire nel rimpianto per ciò che sarebbe potuto essere, ma non è stato.

lunedì 26 maggio 2014

East of West


Su questo blog abbiamo già più volte parlato di Jonathan Hickman e ne abbiamo parlato sempre molto bene. Di questo autore ho letto Pax Romana, The Nightly News, Red Wing e The Manhattan Project e, ad eccezione di Red Wing, che considero un po' sottotono ma comunque valido, ho trovato tutti gli altri dei gran bei fumetti, dotati di una originalità spregiuticata ed una fluidità narrativa davvero sorprendete.
Posso tranquillamente dire che Hickman, a questo punto, rientri tra i miei sceneggiatori preferiti e che per questo, ormai, prendo le sue opere quasi a scatola chiusa. Seguendo questa logica, ho da poco preso il primo numero di East of West, scritto dallo stesso Hickman, disegnatoda Nick Dragotta, colorato da Frank Martin e pubblicato da Panini.
Il volume non ha tradito le mie aspettative e la mia ingenua fiducia nel suo sceneggiatore ha continuato ad essere confermata se non addirittura aumentata. East of West parte alla grande.
Come sempre, cercare di riassumere in poche parole la trama di un fumetto scritto da Hickman non è cosa semplice, ma ci proveremo.
Inizia tutto con un misterioso risveglio. Tre creature dalla sagoma umanoide, come zombie appena risvegliati, affiorano faticosamente sulla terra. Uno verdognolo e scheletrico, l'altro un bambino dalla pelle rossiccia, con un frangione di capelli scuri e lo sguardo furbastro, mentre l'ultimo è un ragazzotto cicciotto tutto blu.
Pestilenza, Guerra e Carestia. I cavalieri dell'apocalisse sono tornati e hanno queste sembianze. Il loro ritorno segna l'inizio della fine del mondo, un destino che era già stato scritto, un progetto che da anni sta aspettando il momento in cui sarà compiuto. Tuttò iniziò quando una cometa  piombò sulla terra, facendo cessare una guerra civile ventennale, accompagnando la scrittura del secondo libro della Apocalisse, per mano del profeta Longstreet e la visione di Nuvola Rossa, il capo dell'Eterna Nazione Indiana. Le parole scritte da Longstreet e quelle raccontate al consiglio degli anziani da Nuvola Rossa, formano il "Messaggio", una narrazione criptica che sa di rivelazione, incompleta ed insolvibile, fino al giorno del suo compimento.
Il ritorno dei Cavalieri dell'apocalisse segna quel giorno e lo svolgimento della loro terribile missione è ciò che porterà alla fine del mondo.
Tutto dovrebbe andare secondo i piani, ma, come tutti noi sappiamo, i cavalieri dell'Apocalisse dovrebbero essere 4 e non 3. Dov'è dunque finito il quarto cavaliere? Dov'è finito Morte? 


Quest'ultima domanda è la questione principale intorno alla quale tutto l'intreccio immaginato da Hickman si muove e prende forma. Morte, infatti, ha disertato. Egli ha abbandonato i suoi compagni per recuperare qualcosa che gli è stato tolto, qualcosa che risulta per lui così importante da fargli dimenticare la sua missione. Che cosa sta cercando Morte? Quali saranno le mosse dei tre cavalieri per ritrovare il loro compagno e, in accordo con i leader mondiali, raggiungere il loro definitivo obiettivo?
Come al solito Hickman mette tanta carne al fuoco. In East of West si mischiano rimandi biblici, atmosfere e congegni fatascientifici, duelli, costumi e ambienti degni di un western, in un meltin-pot che, come sempre, per quanto bizzarro possa sembrare, riesce ad essere gestito in maniera magistrale dall'ottimo sceneggiatore americano.



I dialoghi alternano toni mistici, linguaggio colloquiale e battute dissacranti, confermando, anche sul piano prettamente linguistico, l'abilità di Hickman nel giocare con diversi piani stilistici. Come sempre, questa estrema versatilità della sceneggiatura e dell'impianto narrativo, permette un'ottima caratterizzazione di ogni personaggio, che si delinea a poco a poco con un preciso modo di essere ed agire, fissandosi ben presto nella mente del lettore, senza, tuttavia, mai stilizzarsi in tipizazzioni e clichè triti e ritriti.



Fino ad ora abbiamo parlato della trama ed elogiato il lavoro di Hickman come sceneggiatore, ma, a mio parere, uno dei punti più validi di East of West risiede nell'aspetto grafico. I disegni di Dragotta, infatti, sono a dir poco splendidi. Con tratto marcato e spigoloso, ma allo stesso tempo fluido e dinamico, il disegnatore ci pone di fronte a personaggi dotati di grande carisma visivo, dettagliati e tutti originalmente caratterizzati. Lo stesso discorso vale per i luoghi dove si svolgono le vicende. Nulla è mai lasciato al caso: si passa da grandi distese desertiche ad interni crepuscolari, da alti grattacieli futuristci a palazzi che ricordano un immaginato oriente medioevale. I disegni si adattano perfettamente ad ogni situazione proposta dalla narrazione di Hickman, risultando molto efficaci sia nei momenti di dialogo e introspezione sia nelle sequenze più action, arrivando, proprio in queste ultime, a toccare vette di dinamicità davvero notevoli. Tutto il talento e la creatività di Dragotta vengono esaltati e illuminati dai brillantissimi colori di Martin. Ogni pagina è un piacere per gli occhi.


Per concludere, East of West è un fumetto davvero interessante, solido nella trama, accattivante nella sua mistione di generi e dotato di un comparto grafico davvero spettacolare. Consigliato a chiunque ami gli autori e le opere che non hanno paura di osare, di confrontarsi con una gran quantità di stimoli e atmosfere differenti, pur mostrando sempre coerenza e intelligenza nel districarsi in questa varietà. 






sabato 24 maggio 2014

La cronaca degli insetti umani



Al Lucca comix dello scorso anno ero stata attirata senza ben saperne il motivo, verso uno strano, enorme volume dai disegni terribilmente famigliari. La Cronaca degli Insetti Umani di Osamu Tezuka. Purtroppo me lo ero lasciata scappare, si sa non si può comprare tutto! Ma dallo scorso Novembre era diventata una sorta di fissazione, lo cercavo e speravo di imbattermi di nuovo in quella contrastante copertina nera e gialla. Finalmente in occasione del Cartoomix, a Milano, grazie alla presentazione di una nuova copertina (immagine sopra) lo ho ritrovato.

Devo essere sincera, mi ha colto del tutto impreparata. Certo avevo letto i commenti e le entusiaste recesioni su differenti affidabili blog, ma non potevo immaginare realmente cosa mi aspettasse. Questo manga è davvero un'opera unica, capace di incollarti alle pagine e contemporaneamente indurti a non voler sapere la fine, una continua speranza verso il cambiamento, la redenzione forse, che non avviene mai. Questa verità assoluta e, allo stesso tempo, drammatica lascia con un tale amaro in bocca, proprio per la sua realtà profonda. Un realismo che non stà nel disegno o nella storia in sè, ma nell'analisi dell'uomo, delle dinamiche sociali e delle relazioni. Distante ormai temporalmente da noi, ma così vicina, da non farci notare le differenze di usi e costumi che necessariamente intercorrono. 

La protagonista della narrazione è Toshiko Tomura, bella e affascinante artista, ballerina, designer, scrittrice... Ogni cosa che la donna prova a fare diventa un successo, è perfetta in tutto, la prima in ogni cosa. Il mondo le punta i riflettori addosso, come può una sola donna essere dotata di così tanti talenti? Toshiko Tomura è un'abile crisalide in continua mutazione, capace di avvicinarsi, ammaliare e affascinare i suoi simili fino a trasformarsi in essi, anzi in una versione migliorata. Una capacità mimetica unica, accostata ad una totale mancanza di scrupoli, etica e empatia. La sua vita è una continua mutazione che lascia dietro di sè numerose vittime e le carcasse svuotate di coloro che hanno avuto la sfortuna di incontrarla. 



Freddezza, complotti, cinismo e opportunismo si celano dietro quella che appare come una giovane ed innocente ragazza. Una donna disposta a tutto pur di ottenere fama e potere, niente potrebbe incarnare meglio il nostro mondo. Alla fine mi sono trovata a provare un odio sincero e profondo per la protagonista. Si tratta di un desiderio di giustizia, la speranza che alla fine una persona così, come tante di quelle che ci circondano, possa fallire, possa trovarsi di fronte alla situazione che ogni essere umano prova costantemente. La magistrale descrizione personale a tutto tondo di Toshiko Tomura che Tezuka ci offre, ci permette di non trovare scuse, di legittimare in un certo senso il nostro disprezzo, perchè dietro Toshiko Tomura non c'è nulla. Ogni attimo della sua vita passata non è altro che un bozzolo vuoto, una pelle in decoponimento da eliminare, bruciare se troppo scomoda.



venerdì 16 maggio 2014

Rughe

Paco Roca ci racconta la storia di Emilio, ex rispettabile funzionario di banca che, soffrendo del morbo di Alzhaimer, viene richiuso in un ospizio per casi gravi da suo figlio. Con un tono poetico, semplice e profondo Roca ci accompagna in un delicatissimo viaggio tra i ricordi di un ormai lontana giovinezza e la nebbia, sempre più spessa e frequente, che la malattia contrappone tra un uomo e la sua quotidianità.




Quando si è giovani la vecchiaia sembra qualcosa di lontanissimo. Io ho 24 anni e spesso la percezione che ho della vecchiaia non è quella di una vera e propria età della vita o parte dell'esistenza di ognuno, ma qualcosa che si lega più facilmente all' "ontologia" di certe persone che mi circondano. Uno stato che per me sembra caratterizzarle da sempre. Per fare un esempio, trovo difficile pensare che la mia adorata nonnina sia stata un tempo giovane, così come la mia vicina di casa o certi miei zii. Chiedendomi il perchè di questa percezione distorta, di questa estrapolazione di una parte così consequenziale della vita umana dal suo flusso continuo, la risposta che mi è sembrata più ovvia risiede, certamente, nella volontà, più o meno conscia, di allontanare la vecchiaia dal mio orizzonte, illudendomi che la forza e l'energia che sento ora possa durare per sempre.
In molte storie l'anzianità rappresenta l'età della saggezza e l'anziano, con il suo vissuto e le molteplici esperienze contenute nei suoi ricordi, è la figura di riferimento per i più giovani. Una figura auratica, quasi sacra. Tuttavia, come tutti noi sappiamo, la realtà è molto più crudele della fantasia. La vecchiaia, infatti, oltre ad essere la sede della saggezza pratica ed esistenziale, è l'inesorabile portatrice di malesseri fisici, di un decadimento progressivo delle forze biolgiche ed emotive e, nei peggiori casi, della perdità di lucidità mentale e l'acquisizione di problematiche psichiche.
Insomma, la vecchiaia ci fa paura. Ci fa paura non solo per i problemi che ho appena descritto, ma anche, e soprattutto, per la solitudine che ne potrebbe derivare. Un anziano va accudito, va aiutato, controllato, curato e spesso il sostegno di cui ha bisogno diventa insopportabile, anche per le persone a lui più vicine, come figli e nipoti. La vecchiaia sembra qualcosa che ci allontana gradualmente dal campo della vita, quello dove servono vigore e forza, quello dove l'azione è ammessa e giustificata dalla possibilità di poterla sostenere, quello dove serve essere "giovani e adulti in salute" per poter giocare la partita.
Per tutti questi motivi, pur non essendo per fortuna la totalità dei casi, ci sono contesti in cui ci si sbarazza dei vecchi, come pesi da gettare in mare, affinchè si possa navigare nel mare della vita più spediti e senza intoppi.
Malessere, pesantezza, solitudine e abbandono. Sono queste le coordinate che ci allontanano dal pensiero della vecchiaia e che portano gli stessi anziani a crogiolarsi nei ricordi della propria giovinezza, quando certe cose si era in grado di farle. Tuttavia, questa via di fuga, non è di certo priva di una certa malinconia, infatti, come viene lapidariamente espresso in un dialogo di "Una storia vera" di David Lynch, alla domanda "Qual è la cosa peggiore della vecchiaia?", posta da una ragazza all'anziano protagonista della pellicola, la risposta dell'uomo è "Ricordare quando si era giovani". Perchè se il presente sfugge, il passato sembra essere sempre lì, a portata di mano a segnare lo scacco, impresso nella mente, più forte della nebbia che progressivamente sembra invaderla. Così è anche per Emilio, l'anziano protagonista di Rughe, splendida graphic novel di Paco Roca, edita da Tunuè.
Emilio ha avuto una bella vita. Un tempo era uno stimato funzionario di banca e viveva con il figlio e la nuora. Un giorno però accade qualcosa che lo porta a finire in un ospizio. Non un ospizio qualunque, ma una struttura abituata a trattare situazioni difficili, una sala d'aspetto per la morte, si potrebbe quasi dire. Ciò che ha portato Emilio in un posto simile è, infatti, un problema non da poco. Emilio soffre del morbo di Alzhaimer.
L'Alzhaimer è una malattia e una condizione esistenziale che Paco Roca ci descrive come una costante fluttuazioni di stati mentali differenti fatti di ricordi, dimenticanze, annebbiamenti, improvvise certezze e spiazzanti illusioni. Paradigmatica, da questo punto di vista, è la scena inziale che apre il fumetto: Emilio, sicuro di sè, riceve due clienti nel suo studio. Sembra lucido e nel pieno delle forze, ma è solo un illusione. In realtà Emilio è a cena con il figlio e in preda ad un attacco di confusione quasi isterica gli ha gettato un piatto in faccia.



Questa è la goccia che fa traboccare il vaso, il figlio, esasperato dalle condizioni di salute in cui versa il padre, decide di portarlo all'ospizio, chiarendo che, per motivi di lavoro, non potrà passare spesso a trovarlo. Non lo vedremo più. Da ora in poi Roca si concentrerà solamente sul nuovo mondo di Emilio, un mondo diverso da quello della quotidianità di tutti i giorni, un ambiente che segue ritmi, orari e logiche totalmente a sè, dove una routine scarna e noiosa sembra essere la protagonista principale.
Emilio sta male e il suo stato di salute peggiora di giorno in giorno, tuttavia le persone che lo circondano non stanno di certo meglio. C'è la signora Rosaria, che sta tutto il giorno seduta vicino ad una finestra credendo di stare sull'Orient Express, c'è Renato che continua a raccontare le sue imprese sportive, c'è Modesto che ha l'Alzhaimer e viene quasi totalmente accudito da Dolores, un'altra anziana signore che ha trovato in lui una ragione per tirare avanti .
Paco Roca descrive con estrema delicatezza e profondità un argomento difficile e complesso, dove il rischio di lasciarsi andare ad un tono patetico e compassionevole era davvero molto alto. I dialoghi sono semplici ed estremamente efficaci nel far affiorare stralci di storie, immagini passate e sensazioni presenti piene di malinconia, ma mai pienamente disperate. Emilio è caratterizzato in modo splendido, Roca ci accompagna con maestria nell'evoluzione della sua malattia e nella corrispettiva presa di coscienza da parte del protagonista.
L'ospizio è un ambiente che presenta costantemente una contrapposizione tra prigionia e libertà. Gli anziani, il più delle volte, non sono autosufficienti, hanno bisogno di una limitazione della libertà per poter essere assistiti, ma, nello stesso tempo, rimane in tutti la voglia di evadere. E' così, che in una della sequenze più divertenti del fumetto, alcuni anziani, tra cui Emilio, riescono a fuggire con un auto. L'esito del tentativo sarà ovviamente tragicomico e di breve durata, ricordandomi quello di "Qualcuno volò sul nido del cuculo", dove i pazienti di una clinica psichiatrica scappano in massa, guidati dall'indomabile McMurphy, finendo, dopo varie peripezie, a girare in tondo in mezzo al mare con un peschereccio.
Tuttavia è proprio il contrasto tra la reclusione e la voglia di preservare la libertà ad esprimersi in tutte le visioni e i tentativi immaginari che assediano la mente degli abitanti di questo piccolo microcosmo e Paco Roca ci mostra costantemente il tentativo di evadere, anche solo con la fantasia, da una condizione fisica e psichica che, pur essendo ormai accettata, risulta essere sempre troppo dura da sopportare, almeno nei casi in cui si mantiene una certa consapevolezza di se stessi.
Tutto quello che abbiamo descritto viene rappresentato attraverso un disegno fluido e abbastanza cartoonesco, che si rivela totalmente funzionale alla narrazione. I personaggi sono sempre ben delineati e differenziati e gli ambienti, pur essendo caratterizzati in modo molto semplice, riescono sempre a creare la giusta atmosfera emotiva. I colori utilizzati sono tenui e delicati, si respira un'aria di lentezza e il tempo della narrazione sembra scorrere lentamente, come le ore tra le monotone attività dell'ospizio. Consigliatissimo.



sabato 3 maggio 2014

The tales of princess Kaguya. Il nuovo film di Takahata a Cannes





Quando si pensa all’animazione giapponese la mente sembra andare immediatamente ad Hayao Miyazaki e al suo celebre Studio Ghibli. Tuttavia, sarebbe bene tenere a mente, soprattutto per noi occidentali, che il grande Hayao non era da solo nell’atto di fondazione di quello che sarebbe diventato il più importante studio cinematografico d’animazione giapponese. Accanto a lui, infatti, c’era  un altrettanto talentuoso regista e animatore: Isao Takahata, classe 1935.
Takahata, oltre a produrre alcuni importanti opere di Miyazaki, come “Nausicaa nella valle del vento” e “Laputa-Castello nel cielo”, ha firmato la regia di Heidi e Anna dai capelli rossi, serie animate che ormai risiedono nei ricordi d’infanzia di svariate generazioni e di ben 5 lungometraggi dello Studio Ghibli. Il più famoso tra questi è sicuramente “Una tomba per le lucciole” che, uscito nel 1988 insieme a “Il mio vicino Totoro” del collega Hayao, contribuì a delineare una delle vette più alte dell’intera produzione nata dal sodalizio dei due registi.
Nella mia esperienza di spettatore credo di non aver mai visto un film d’animazione (e non solo), sul dolore e la tragedia portata dalla guerra tanto straziante e intenso quanto “Una tomba per le lucciole”. La tragica storia di due bambini, due fratelli, che cercano di sopravvivere in una Kobe messa i ginocchio dalla seconda guerra mondiale. Un pugno nello stomaco di un realismo coinvolgente, lontanissimo dalla fiabesca e sognate poetica di Miyazaki, eppure così efficace nell’utilizzo di questo medium. Un capolavoro con cui confrontarsi obbligatoriamente, con la certezza di non poterne uscire illesi.
Dopo il film appena citato, “Only Yesterday” del ’91 (non distribuito in italia), “Pom Poko” del ’94 e  “My Neighbors  Yamada” del ‘99 (non distribuito in Italia), Takahata è tornato alla regia nel 2013 con nuovo film d’animazione intitolato “The tale of princess Kaguya” (Kaguya-hime no monogatari), uscito in Giappone lo scorso 23 novembre.


La pellicola è basata sull’omonimo racconto popolare giapponese, considerato il più antico esempio di narrativa del Paese. La storia racconta la vicenda di un intagliatore di bambù che un giorno trova una bimba, grande come un pollice, all’interno di una canna di bambù. Egli la adotta, dandole il nome di Kaguya. La bambina cresce felice e diventa una donna bellissima attirando principi da tutto lo stato e facendo innamorare perfino l’imperatore. Tuttavia, un giorno, ella confesserà di non essere una terrestre ma di provenire dalla Luna dove è destinata a ritornare, nonostante l’opposizione dell’imperatore e il dolore dei suoi genitori adottivi.
“The tales of princess Kaguya” è stato accolto con entusiasmo alla sua uscita in patria e ora è pronto per sbarcare anche in Europa. Infatti, Isaho Takahata presenterà la sua ultima opera alla prossima edizione del Festival Internazionale del Cinema di Cannes, in programma dal 14 al 25 Maggio.
Dopo “Si alza il vento” di Miyazaki, “The tales of princess Kaguya” segna un ennesimo ritorno alla regia di uno dei più grandi maestri dell’animazione giapponese e mondiale. La mia curiosità di vedere quest’opera è ovviamente altissima, anche se, purtroppo, credo che sarà difficile che arrivi nei cinema italiani, almeno nel breve periodo.